I giardini di Marina centro

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Ul cuore verde sul mare: Le tante trasformazioni dell’area fra Grand Hotel e Kursaal

“A rendere vieppiù grato il soggiorno su questa amena spiaggia si aggiunge la rigogliosa vegetazione delle numerose e varie piante disposte con vaghi disegni, le quali circondano da ogni parte lo Stabilimento, che massime nelle sere di maggior concorso presentasi bello e incantevole per le molteplici fiaccole a gas, e ad illuminazione elettrica che sfarzosamente illuminano i piazzali, le sale, la piattaforma e il grande viale che unisce la città al mare”. Così si legge nella Guida storica artistica di Rimini di Luigi e Carlo Tonini del 1909 a proposito dei giardini ornamentali prospicienti l’area che la società S.M.A.R.A. avrà in gestione per venti anni (dal 1908) nel prestigioso cuore della Rimini balneare, con il neonato Grand Hotel dell’architetto Somazzi nel luogo della demolita Capanna Svizzera e l’imponente Kursaal con le sue 250 stanze, i saloni affrescati e le terrazze ‘babilonesi’ ad esercitare il suo fascinoso richiamo.
Le trasformazioni del parco sono state numerose e subordinate ai vari piani di intervento sulla fascia litoranea. Nel 1930 l’area prospiciente il piazzale a mare davanti al Kursaal era decorata con aiuole fiorite, quello verso la città, contenuto tra le palazzine Roma e Milano e la fontana dei cavalli, divenuto subito il salotto buono per le manifestazioni e la mondanità, si amplia e arricchisce di verde ornamentale.
Dopo la guerra si dovette metter mano a profondi cambiamenti su tutta l’area. Altro

LA Corderia… pezzo di storia dimenticato…

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Viserba – Tutti conoscono l’ex Corderia lungo via Marconi a Viserba. Un lungo perimetro di mattoncini rossi sbarrato ed

 invalicabile ai più, ma già derubato all’interno delle sue enormi ricchezze, storiche e non. Fino a poco tempo fa si potevano udire i rintocchi regolari degli scalpellini che depredavano i mattoncini ed i laterizi per adornare oggi, in molte case del luogo, i camini ad esempio.

Lungo via Fattori la situazione è diversa e l’aspetto della cinta muraria si fa grigio e pericolante.All’interno s’intravede una selva ombrosa. Ci addentriamo, consapevoli di essere su un terreno privato che, per la verità, è teatro di raduni di sbandati, povera gente, clandestini ed anche giocatori di soft gun air (pistole ad aria compressa).

Cos’era la corderia per Rimini? Sicuramente il primo esempio di industria locale, capace di dare lavoro nei decenni a migliaia di lavoratori. Funi di canapa e lino. All’interno, nell’immensità degli spazi spogli, son ancora visibili i motori e le turbine diesel e a vapore utilizzati per all’attorcigliatura delle funi. Macchine enormi dal grande valore archeologico-industriale. In alcune sale son visibili, parzialmente intatti, anche alcuni dipinti realizzati dai prigionieri tedeschi durante la seconda guerra mondiale, Altro

Le sabbie mobili di Viserbella (“E’ Sourcion”)

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Fino agli anni Sessanta sulla spiaggia di Viserba c’era un posto da dove l’acqua sgorgava abbondante dal sottosuolo…

La storia sotto le sabbie mobili

La storia di Viserba è indissolubilmente legata all’acqua che, fresca e purissima, è sempre sgorgata dalle numerose sorgenti (la più nota è quella chiamata Sacramora). Fino agli anni Sessanta c’era addirittura un posto, sulla spiaggia, dove l’acqua che sgorgava abbondantemente dava vita alle sabbie mobili. “E’ Sourcion”, così si chiamava (molto probabilmente dal francese ‘sorgente’). Il professor Enea Bernardi, scomparso nel dicembre 1998, aveva dedicato alle sabbie mobili viserbesi alcune pagine del suo libro ‘Storie su due piedi’. Iniziava ricordando i racconti di ‘Maròz ad Bilet’, un personaggio affabulatore che ai tempi dell’infanzia lo affascinava (si parla degli anni Trenta).

Ecco cosa narrava Maròz. ‘A un centinaio di metri dalla battigia, in una bassura fra le dune, gorgogliava un’acqua sorgiva. Il verde palustre nascondeva le sabbie mobili che, ricordava spesso il mio nonno, avevano ingoiato un uomo insieme al carro e ai buoi. Altro

La Fonte Sacramora

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E’ la più antica di Viserba stessa; da sempre ha caratterizzato questa cittadina, non per nulla denominata, ai tempi

 delle belle époque “Regina delle Acque”.

 La leggenda della Fontein una notte d’estate del 957 nell’isola di Proconneso (Elaphonesos o Neuris) nel Mar di Marmara, franò lo scoglio sul quale per sette secoli aveva riposato il corpo del giovane martire Giuliano, discendente da una nobile famiglia istriana e da un senatore greco. Erano gli anni tristi dell’imperatore Decio Cneo Traiano (249-251), accanito persecutore dei Cristiani, la cui lotta infierì dal 197 al 251. 

Educato alla fede dalla madre Asclepiodora, Giuliano fu scoperto seguace di Cristo e condotto dinanzi al tribunale del

 proconscole Marziano a Flaviade, nella Cilicia. Esasperato dal rifiuto del giovane di rinnegare la propria fede e passare all’adorazione degli idoli, Marziano lo fece rinchiudere nudo in un sacco, fra serpi velenose e sabbia. Lo fece gettare in mare, alla presenza della madre. Il corpo pervenne all’isola di Proconneso, dove, raccolto dai fedeli, fu sepolto in una grande arca di marmo collocata su di uno scoglio a picco sul mare, da cui franò come detto  nel 957. 

Il sarcofago iniziò una navigazione straordinaria (guidato dagli Angeli, dice la leggenda) attraverso lo stretto dei Dardanelli, il Mar Egeo, il Mediterraneo, lo Jonio e l’Adriatico. Altro

La lingua Portolotta

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Ancora agli inizi di questo secolo un certo numero di vecchi marinai riminesi parlava una lingua a sè, senza nessun rapporto col dialetto riminese, chiamata “portolotto”, cioè, appunto, “lingua degli abitanti del porto“. Il fatto che negli antichi Statuti della città il capobarca sia chiamato patronus (traduzione in latino di “parone”) fa supporre che già nel Trecento i marinai, i pescatori e tutta la variegata umanità che viveva e lavorava nel porto di Rimini si esprimessero in quel dialetto veneto che è il “portolotto”.

Intorno al 1920 il “portolotto” si estinse del tutto. Di questa “lingua morta” sono rimaste tracce minime: di gran lunga inferiori (ci si passi il paragone azzardato) alle testimonianze in etrusco. Eppure nel 1850, e anche dopo, tutti gli abitanti del porto e dei borghi confinanti (il borgo di Marina e il borgo di San Giuliano) parlavano correntemente, e spesso esclusivamente, il “portolotto”. Non era certo una minoranza trascurabile: nel 1864 Luigi Tonini censisce oltre cinquemila anime tra pescatori, naviganti, calafati, facchini, commercianti e “industrianti”, ovviamente con le loro famiglie.

Il più lungo reperto in “portolotto” si trova Altro

La Mula e le Cantinette…

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Rimini tra Borghi e Monumenti…

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