Curiosità “Monumentali”

I Nostri articoli “Monumentali”:

– Intro;

– Piazza Cavour, quello che ancora non sapevate;

– L’arco di Augusto…;

– Piazza….Tre Martiri…;

– La “Mula” ed il “Miracolo eucaristico”;

– “Le Cantinette” della Vecchia Pescheria;

– La “Domus” di piazza Ferrari…;

– Il ponte di Tiberio…;

– Il “TEMPIO” Malatestiano…;

– La Fontana della “PIGNA”.

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Intro (di stile classico… i più curiosi la saltino!!!)

Rimini, ovviamente non è solo città di fiere e divertimento, ma essa stessa meta di interesse storico presentando un patrimonio artistico e culturale da conoscere.

Passeggiando nel centro storico ci si imbatte di fatti in vestigia romane come:

– Il Ponte Tiberio, uno dei pochi ponti romani ancora esistenti che sorge all’entrata del Borgo di San Giuliano, antico quartiere di pescatori che ospita l’omonima e antica chiesa, che conserva al suo interno “Il Martirio di San Giuliano” (1580) dell’artista Paolo Veronese.

L’Arco Di Augusto voluto dall’imperatore per commemorare la sua vittoria nelle guerre civili, è stato per anni la porta di ingresso principale della città cinta interamente da mura medievali, da cui i caratteristici merli che la sovrastano.

La Domus del Chirurgo, piccola Pompei riminese, di grande interesse per i suoi pavimenti adornati da grandi mosaici e le sue pareti da affreschi, nonché per il corredo chirurgico – farmaceutico in essa ritrovato, il più ricco al mondo pervenuto dall’antichità oggi conservato nel Museo della Città (ex Convento dei Gesuiti).

La città di Rimini fa altre-sì sfoggio di vestigia medievali e rinascimentali di grande interesse tra cui:

Castel Sismondo, sede delle mostre e residenza-fortezza di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468, coniugazione di intento celebrativo ed esigenza difensiva in stile medievale.

Piazza Cavour: La piazza, forse tardo romana, assunse dal Medioevo un ruolo primario quale centro della città, ad oggi delimitata dall’imponente Palazzo dell’Arengo (1207), dal Teatro Comunale e dal Palazzo del Podestà.

Il Tempio Malatestiano, simbolo della città, tipico edificio rinascimentale eretto fra il 1447 e il 1460 da Sigismondo Malatesta su progetto di Leon Battista Alberti ed è attualmente il duomo della città. Sorge su una precedente chiesa di frati francescani della quale conserva un magnifico crocefisso su tavola dipinto da Giotto. Inoltre è ammirabile al suo interno un dipinto di Piero dalla Francesca.

…..ora è il tempo di curiosare!!!

Piazza Cavour, quello che ancora non sapevate!

Piazza Cavour fu il secondo foro della antica città romana Piazza Tre Martiri! ebbe diversi nomi ,a seconda del tempo : inizialmente fu chiamata Piazza del Comune, che poi divenne Piazza della Fontana ed infine, dal 1862 ebbe il nome di Piazza Cavour.Sulla stessa  si aprono negozi e caffetterie, nonché importanti costruzioni come il Palazzo Garampi, attuale sede comunale,  il Palazzo dell’Arengo ed il Palazzo Podestà, senza dimenticare sul fondo della piazza il  Teatro Comunale Galli. Al suo centro trovano posto, la Fontana della Pigna e lastatua di Paolo V, oltre ad una famosa Pescheria Vecchia di cui abbiamo precedentemente parlato.
La statua di Paolo V -“Questa statua riveste una notevole importanza e conserva una storia molto bella. Venne eretta nel 1613 , dallo scultore Sabastiano Sebastiani, che si ispirò al modello di Nicolò Cordieri detto il Franciosino. Ma la storia caratteristica, si attesta intorno al 1800, quando la popolazione, ebbe paura che la statua, potesse essere abbattuta dai soldati di Napoleone e quindi si ingegnarono nel trovare una soluzione.Venne sostituita la “tiara” papale, ossia il copricapo papale con la “mitra”; venne cancellata l’epigrafe in onore del papa e la statua venne dedicata a San Gudenzo, patrono della città.”“La “tiara” è un copricapo che risulta inciso su delle tavole degli assiri , riconoscibile dalla forma e veniva portato da degli “dei” o “angeli”, e la “mitra” era il copricapo del dio pesce Dagon babilonese.Nel 1890, come ricorda un’iscrizione della base,  il monumento fu ripristinato, ma il popolo di Rimini continua a credere che rappresenti San Gaudenzo.
Il Palazzo dell’Arengo è una struttura di stile romano gotico e venne costruito nel 1204 sotto la guida del podestà Mario dé Carbonesi da Bolognai. Nel tempo subì ristrutturazioni e dei rifacimenti, a partire dal 1562, poi nel 1672 , come pure nel 1919 e 1923. In questo palazzo veniva amministrata la giustizia da parte dei notai che amministravano anche i loro banchi. La caratteristica è data da pietrone chiamato “lapis magnum” avente una curiosafunzione “Punitiva”, i debitori insolventi erano di fatti obbligati a battere per 3 volte il loro sedere nudo, urlando ad alta voce “cedo bonis” ovvero “cedo i miei beni” per estinguere il debito; pratica quest’ultima attuata anche nella Piazza Grande di Modena, come pure nel Palazzo della Ragione di Padova.
Il Palazzo del Podestà, sede del Signore della città fu costruito tra il 1330 ed il 1334 e subì nel tempo delle trasformazioni, tanto da cancellarne alcuni tratti gotici e spesso, si fa confusione tra il Palazzo dell’Arengo ed il palazzo del Podesta.Al piano terra, che doveva aprirsi su un loggiato, sono presenti tre archi gotici frontali. L’ingresso, sul lato corto, era sottolineato dall’arco con i simboli dei nuovi Signori, i Malatesta. Al piano superiore, merlato, si aprono cinque finestre minori.L’edificio originale è stato completamente falsato dai restauri degli anni venti ad opera dell’architetto Gaspare Raspelli che tra il 1912 ed il 1922 mise mano alla ristrutturazione della piazza, riportandola agli antichi splendoriLa sua funzione attuale è espositiva: si svolgono nel palazzo, delle mostre organizzate dai Musei Comunali.Nota: Sotto alle sue arcate pendeva una corda destinata all’impiccagione dei colpevoli.

L’arco di Augusto…

L’Arco trionfale di Augusto a Rimini fu consacrato all’imperatore Augusto dal Senato romano nel 27 a.C. È il più antico arco romano rimasto. Segnava la fine della via Flaminia che collegava la città romagnola alla capitale dell’impero, confluendo poi nell’odierno corso d’Augusto, il decumanomassimo, che portava all’imbocco di un’altra via, la via Emilia.Lo stile che lo compone è sobrio ma allo stesso tempo solenne. Al fornice centrale, di particolare ampiezza, si affiancano due semicolonne con fusti scanalati e capitelli corinzi. I quattro clipei posti a ridosso dei capitelli, rappresentano altrettante divinità romane. Rivolte verso Roma, troviamo Giove ed Apollo; rivolte verso l’interno della città troviamo Nettuno e la dea Roma.

La sua funzione principale, oltre a quella di fungere da porta urbica, era quella di sostenere la grandiosa statua bronzea dell’imperatore Augusto, ritratto nell’atto di condurre una quadriga.La peculiarità di questo arco è che il fornice era troppo grande per ospitare una porta, almeno per quei tempi. La spiegazione è dovuta al fatto che la politica dell’Imperatore Augusto, volta alla pace, la cosiddetta Pax Augustea, rendeva inutile una porta civica che si potesse chiudere, non essendovi il pericolo di essere attaccati.La merlatura presente nella parte superiore risale invece al medioevo (circa X secolo), periodo in cui la città venne tenuta dai ghibellini. Divenne una delle porte della città fino al periodo fascista, quando vennero demolite le mura e l’arco rimase come monumento isolato.Insieme al ponte di Tiberio, è oggi uno dei simboli di Rimini, tanto da comparire nello stemma della città.Fonte: http://it.wikipedia.org

Piazza….Tre Martiri… Giulio Cesare… Delle Erbe… ???

Antico foro romano della città di Ariminum dove si incrociano le due vie più importanti della città (lastricate con grandi pietre rettangolari, ora in parte visibili attraverso aperture recintate): il Decumano ed il Cardo. Il Primo è la via che collega l’Arco d’Augusto verso il Ponte Tiberio, che prosegue da una parte con la via Emilia e dall’altra con la via Flaminia; mentre il Cardo o Cardine è la via che giunge al Porto, oggi chiamate Via Garibaldi e via IV Novembre.

Fu chiamata Piazza Grande , Piazza Sant’Antonio e Piazza Giulio Cesare ed infine Piazza Tre Martiri”

Piazza Grande, per le proprie dimensioni.

Piazza delle Erbe: poiché piazza del mercato come testimoniano i portici sotto i quali si aprivano le beccherie, botteghe per la vendita della carne.

Piazza Sant’Antonio, per un miracolo operato dal Santo in memoria del quale venne eretto anche il tabernacolo ottagonale, contornato da colonnine.

Piazza Giulio Cesare:poiché si narra che nella stessa il grande imperatore fece un discorso alle sue truppe dopo aver varcato il Rubicone (alea jacta est). In commemorazione dell’evento, rimane ancora un cippo cinquecentesco ed una statua bronzea di Giulio Cesare.

Infine durante la Seconda Guerra Mondiale e più precisamente il 16 agosto 1944, tre partigiani vennero impiccati dai Tedeschi ed in loro onore venne eretto il monumento ai Caduti e la piazza prese il nome di “Piazza Tre Martiri”.

Curiosità: Qui si concludeva ogni anno “il palio di San Giuliano” che, partito dal borgo, godeva di grande partecipazione popolare.

Nel 1547 si costruì l’isolato con la Torre dell’Orologio, che diede alla piazza la forma e le dimensioni attuali, con edifici porticati al posto delle antiche beccherie. Su progetto di Francesco Buonamici la torre, nel 1759, subì un rifacimento. Con il terremoto del 1875, la parte superiore venne demolita. Oltre all’orologio, dal 1750 reca un quadrante con calendario, movimenti zodiacali e fasi lunari.

I recenti lavori di riqualificazione complessiva del centro storico hanno conferito alla piazza un nuovo e suggestivo aspetto. Particolare cura è stata posta nel disegno della pavimentazione e l’incrocio tra il cardo e decumano è stato evidenziato con uno splendido sole rinascimentale, logo presente nel Tempio Malatestiano e sul quadrante dell’orologio della piazza.

Per la pavimentazione sono stati scelti materiali tradizionali e locali: lastricato in arenaria dura dell’Appennino forlivese e in pietra calcarea bianca, selce fluviale.

La Piazza è stata illuminata con 14 corpi a stelo, come all’inizio del secolo; i portici con luce indiretta, il Tempietto di Sant’Antonio, la Torre dell’orologio con faretti infossati nella pavimentazione.

La “Mula” ed il “Miracolo eucaristico”

A Rimini, in quella che oggi è chiamata piazza Tre Martiri, esiste una cappella chiamata “Tempietto“, accanto al santuario di San Francesco da Paola, in ricordo di un famoso prodigio eucaristico che si sarebbe verificato nel 1223.

Secondo la tradizione, Sant’Antonio si trovava nella città romagnola per predicare la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia, quando un eretico di nome Bonisollo gli avrebbe detto che, se avesse provato con un miracolo la vera presenza di Cristo nell’ostia consacrata, avrebbe aderito all’insegnamento della Chiesa cattolica.

L’eretico avrebbe organizzato la “sfida” in questo modo: avrebbe tenuto chiusa per tre giorni nella stalla la sua mula senza darle da mangiare, poi l’avrebbe portata in piazza, mettendole davanti della biada. Contemporaneamente il santo avrebbe dovuto mettere l’ostia di fronte alla mula: se l’animale avesse trascurato il foraggio per inginocchiarsi dinanzi alla particola, Bonisollo avrebbe creduto.

Nel giorno convenuto il santo, dopo aver celebrato la Messa, recò in processione l’ostia consacrata in piazza Tre Martiri e, giunto davanti alla mula, avrebbe detto:

« In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e di prestargli la dovuta venerazione. »

Come il santo ebbe finito di parlare, la mula, lasciando da parte il fieno, si sarebbe veramente avvicinata e inginocchiata, tra lo stupore e la commozione dei presenti, e l’eretico si sarebbe convertito.

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Miracolo_eucaristico_di_Rimini

Le “Cantinette” della Vecchia Pescheria

Una vasta scelta di locali in una zona ricca di storia

La Vecchia Pescheria si trova in Piazza Cavour a Rimini ed è uno dei luoghi della città più suggestivi; progettata dall’architetto riminese Buonamici nel 1747, lungo il suo corso si possono ancora ammirare i vecchi banconi di marmo sui quali venivano vendute le “poveracce” ossia le vongole, frutto del lavoro giornalieri dei pescatori; è circondata ai quattro angoli da quattro statue di delfini dai quali zampilla acqua.

La Vecchia Pescheria o Cantinette oggi è molto frequentata di sera, dal momento che tutto intorno sono nati negli anni diversi locali per i giovani, chiamati nel complesso “Le Cantinette” dal nome di uno di questi locali; questa zona di Rimini in centro città è diventata ormai luogo d’incontro degli abitanti ogni sera della settimana, per chiacchierare, bere qualcosa con gli amici o ascoltare buona musica. Sono diverse le taverne ed i pub nati nella Vecchia Pescheria di Rimini, e specialmente durante il weekend sono affollatissimi da ragazzi di ogni età che vengono in città a Rimini per divertirsi e passare una bella serata.

Pub, enoteche, birrerie, ciascuno specializzato in una diversa tipologia di drink per andare incontro alle esigenze di ogni affezionato cliente, ce n’è per tutti i gusti alle Cantinette di Rimini, presso la Vecchia Pescheria.

http://www.riccione.me/

La “Domus” di piazza Ferrari…

La Domus del Chirurgo, a due piani, si affacciava direttamente sul mare, arretrato di 1 Km rispetto ad oggi.

Di notevole interesse è il gran numero di reperti e mosaici ritrovati all’interno: ben conservati, hanno permesso una fedele ricostruzione della casa e dell’identità del proprietario, oltre a far luce su un passato affascinante.

Il reperto forse più eccezionale è una collezione di ben 150 strumenti chirurgici. Essi non hanno lasciato dubbi circa l’identità del padrone di casa: un medico. Pare che Eutyches, questo il suo nome, provenisse da ambienti ellenici, e, come spesso accadeva nell’antichità, si fosse poi formato sui campi di battaglia. In effetti, gli strumenti ritrovati venivano usati soprattutto per traumi ossei e ferite, lasciando presagire che Eutyches fosse un medico militare.

La Domus possedeva muri di argilla che poggiavano su zoccoli in muratura. Da un corridoio interno si accedeva da un lato ad un giardino interno, dall’altro a varie stanze. C’era una sala da pranzo (triclinium), una camera da letto (cubiculum), e due stanze di soggiorno. Una di queste reca un prezioso mosaico raffigurante Orfeo tra gli animali. E’ la stanza dove il medico visitava e operava i suoi pazienti, un vero e proprio ambulatorio. Erano poi presenti ambienti minori, come una stanza riscaldata (ipocausto), una latrina e al piano superiore cucina e dispensa.

Il crollo del tetto in seguito ad un incendio nella seconda metà del III secolo d.C. ha permesso l’ottima conservazione di mosaici, arredamenti e utensili.

Visitando la domus si possono apprezzare i bellissimi mosaici, mentre i ferri chirurgici e i vari utensili sono conservati al museo comunale.

Fonte: http://www.domusrimini.com/

Il ponte di Tiberio… (…per miti e leggende Vedi la page “Leggende!”)

Il ponte romano sul fiume Marecchia, l’antico Ariminus intorno al quale era sorto il primo insediamento, crea ancora oggi il collegamento tra la città e il suburbio (borgo San Giuliano). Da qui iniziano  le vie consolari, Emilia e Popilia, dirette al Nord. La via Emilia, tracciata nel 187 a C. dal console Emilio Lepido, collegava Rimini a Piacenza; attraverso la via Popilia, invece, si raggiungeva Ravenna e si proseguiva fino ad Aquileia.

Il ponte, iniziato da Augusto nel 14 e completato da Tiberio nel 21 d.C., come ricorda l’iscrizione che corre sui parapetti interni, si impone per il disegno architettonico, la grandiosità delle strutture e la tecnica costruttiva. Poco spazio è concesso invece all’apparato figurativo, comunque  intriso di significati simbolici.

In pietra d’Istria, si sviluppa in cinque arcate che poggiano su massicci piloni muniti di speroni frangiflutti ed impostati obliquamente rispetto all’asse del ponte, in modo da assecondare la corrente del fiume riducendone la forza d’urto, secondo uno dei più evidenti accorgimenti ingegneristici.

La deviazione del Marecchia prima e, più recentemente, i lavori per la predisposizione di un bacino chiuso, hanno messo in luce i resti di banchine in pietra a protezione dei fianchi delle testate di sponda; recenti sondaggi hanno poi rivelato che la struttura del ponte poggia su un funzionale sistema di pali di legno, perfettamente isolati.

Il ponte è sopravvissuto alle tante vicende che hanno rischiato di distruggerlo: dai terremoti alle piene del fiume, dall’usura agli episodi bellici quali l’attacco inferto nel 551 da Narsete, durante la guerra fra Goti e Bizantini di cui restano i segni nell’ultima arcata verso il borgo San Giuliano, e, da ultimo, il tentativo di minarlo da parte dei Tedeschi in ritirata.

Fonte: http://www.comune.rimini.it/servizi/citta/monumenti/pagina1.html

Ponte di Tiberio…Simbologia! Grazie MDOCG

Il ponte di Tiberio: nuove curiosità…

Il monumento è stato voluto da Augusto ed i lavori iniziarono nel 14 d.C. anno della morte dell’imperatore. Rimini è sempre stata una città molto cara ad Augusto: l’Arco trionfale porta la data del 27 a.C. anno della sua piena assunzione del potere imperiale. Augusto, molto attento alla comunicazione attraverso i simboli, una volta raggiunta militarmente la pacificazione dell’Impero, abbandona le vesti del condottiero (nella statuaria rappresentato con la lorica) ed assume quelle di pontefice massimo.

Il ponte di Rimini rappresenta, nelle chiavi delle arcate, simboli sacerdotali quali la brocchetta sacrificale, la patera per le offerte alle divinità, la spirale segno degli aruspici; ma presenta anche decorazioni che richiamano direttamente la figura di Augusto: la corona di quercia che l’imperatore esponeva sulla porta di casa e lo scudo d’oro posto dal senato nella Curia Giulia. Per questi motivi forse sarebbe più corretto chiamare il ponte di Rimini come Ponte di Augusto, anche se l’opera fu completata dal successore Tiberio.

Tra le curiosità costruttive ricordiamo che le pile poggiano su palafitte in legno di rovere del diametro di circa cm. 35 e della lunghezza dai 3 ai 5 metri; le superfici esterne e le decorazioni sono in blocchi di pietra d’Istria ma il nucleo centrale dei piloni e delle arcate è costituito da muratura “a sacco”, cioè frammenti di laterizio di ciottoli e di pietrame legati con malta, tecnica identica quella dell’Arco di Augusto.

Non tutti sanno che i piloni del Ponte sono inclinati rispetto all’asse stradale, perché orientati verso l’antica foce del Marecchia ove si trovava il porto romano, più o meno nella zona dell’attuale parcheggio dello scalo merci; cosa che possiamo verificare facilmente ponendoci nel parco e traguardando l’arcata centrale, da monte verso mare: anziché il porto attuale vedremo l’area a sud del grattacielo.

Conferenza dell’Architetto Pier Luigi Foschi

Direttore dei musei comunali

Fonte: http://www.lionsclubriminihost.org/

Il “TEMPIO” Malatestiano… solo in APPARENZA Chiesa…

Sempre in linea con CURIOSITA’ su Rimini ed i Malatesta, colgo l’occasione per parlare del”TEMPIO” e NON Duomo di Rimini….è bene sapere che nella struttura originaria non venne incredibilmente prevista una croce o un’effige di santo: da qui la denominazione Tempio.

La quantità di riferimenti pagani è tale per cui Pio II riportò nei suoi Commentari: “Aedificavit tamen nobile templum Arimini in honorem divi Francisci; verum ita gentilibus operibus implevit ut non tam Christianorum quam Infidelium daemones templum esse videretur” (Costruì un nobile tempio a Rimini in onore di San Francesco; ma lo riempì di tante opere pagane che non sembra un tempio di cristiani ma di infedeli adoratori dei demoni).

Tuttavia sarebbe riduttivo leggere il Tempio Malatestiano solo come sfida personale di un uomo, ma piuttosto come massima manifestazione di una raffinata cultura di tipo neoplatonico, intellettuale e idealistica, intenzionalmente lontana dalla realtà, non timorosa di esprimersi attraverso un linguaggio proprio del paganesimo. Roberto Valturio, membro di quella corte illuminata che circondava il Malatesta e che tanta parte ha avuto nella definizione del gusto e dei temi, ribadì che il piano iconografico è ispirato alla filosofia, anzi “ai più riposti segreti della filosofia”, e che solo gli iniziati potevano penetrarne il significato.

A breve… Astrologia e Simbolismo all’interno delle mura del Tempio!

Fonte: http://it.wikipedia.org/

IL TEMPIO MALATESTIANO La Cappella dei Pianeti… sotto il segno del Cancro…

Rivestita di marmo rosso di Verona, forse doveva essere dedicata a San Girolamo; viene detta “dei pianeti”, per le raffigurazioni dei pianeti e dei relativi segni zodiacali, da considerare tra i capolavori assoluti di Agostino di Duccio e della scultura italiana del Quattrocento.

La loro disposizione sui pilastri illustra fedelmente l’idea del firmamento che si aveva nel Medio Evo, ed evoca la perfezione e l’armonia del cielo.

E’ in questa cappella la veduta di Rimini nel ‘400, sotto la costellazione del Cancro: c’è il ponte eretto da Tiberio, la maestosa Rocca di Sigismondo, il Marecchia, il porto, le mura e in primo piano un barcone con le vele rigonfie che naviga sul mare.

Speculare a quella dei pianeti, ecco sul lato opposto della navata la cappella detta delle “arti liberali” (originariamente dedicata a Sant’Agostino ora a San Giuseppe, con una statua bronzea di Enrico Manfrini, 1999.

info: http://www.emiliaromagnaturismo.it/download/Pubblicazioni_arte/tempioita.pdf

 

La Fontana della “PIGNA”

La fontana tanto amata dai Riminesi da bella mostra di se in Piazza Cavour. (Ri)Costruita nel 1543 da Giovanni da Carrara è si rinascimentale ma custodisce in se tracce di romanità essendo il tamburo che sostiene la Pigna di epoca romana.

Fonte di ristoro per secoli, si ricorda che la stessa fu l’unica risorsa di acqua potabile della Città fino al 1912, quando l’acquedotto pubblico vene inaugurato.

Numerose scritte o lapidi commemorative la decorano e ricordano il suo prestigio, a cominciare dall’iscrizione “Pauli III Pont. Max Munus /Anno Gratiae MDXXXXII!” in ricordo di Papa Paolo II che ne finanziò la ricostruzione dopo i danneggiamenti subiti nel 1540 dai fuochi d’artificio posti nella vasca per festeggiare il cardinale legato Giovanni Maria Ciocchi del Monte. Il Restauro fu il ringraziamento del Papa per l’accoglienza ricevuta dai Riminesi durante il suo soggiorno.

La pigna non è però del 1543 ma del 1809, è fu posta in sostituzione di una statua raffigurante San Paolo (1545) li messa in onore del Papa restauratore.

Ulteriore testimonianza cara agli abitanti di Rimini è altresì quella di Leonardo da Vinci e raccolta in una iscrizione posta sulla fontana che cita: “Fassi un’armonia con le diverse cadute d’acqua, come vedesti alla fonte di Rimini, come vedesti addì 5 d’Agosto 1502”.

PERCHE’ UNA PIGNA??? 

La Pigna è un simbolo che ripercorre molto spesso l’architettura romana e che è rimasto infiltrato anche nel simbolismo cattolico. Il significato più chiaro che possiamo trovare è quello che la associa allo “0”, quindi all’uovo cosmico, alla nascita, al principio; vedasi ovviamente il simbolismo riferito ad Eostre, al coniglio e alla tradizione greco-romana di regalare uova colorate. In questo frangente troviamo in primis la pigna tra le mani di Shamash, il dio babilonese, nella tavoletta ospitata al Louvre, mentre pare offrirla ai suoi attendenti, che portano un capretto e un disco solare. Ma lo troviamo anche nella tavola del palazzo di Assurbanipal risalente al 850 a.c. che mostrava l’albero della vita.
In questo caso quindi il significato della pigna è legato all’eternità e all’immortalità. L’abete infatti (il tipo di pigna rappresentata è quella più snella e appuntita che viene prodotta da questo albero) è un sempreverde, ossia un tipo di conifera che non perde le foglie e non ingiallisce nel corso dell’anno.
E questo tipo di significato è chiaramente riconducibile al natale e all’albero tipico che viene addobbato in quella festività di stampo pagano. Nel’estremo nord Europa, dove la notte e il giorno durano rispettivamente sei mesi, avviene una vera e propria “nascita” del sole. Quando per la prima volta dopo mesi l’alba si alza sul mondo freddo e innevato, i raggi passano tra i rami degli alberi carichi di ghiaccioli facendoli splendere come luci. Per questo motivo l’albero di Natale viene ancora adesso inghirlandato di luci, e la pigna, il suo frutto, è spesso un motivo ritornante tra le palline e gli addobbi.
L’altro significato che troviamo è quello della fertilità, essendo colma di semi e anche per la sua stessa, peculiare forma ovoidale. Nei tempi antichi ovviamente abbondanza e fertilità erano le cose che si auguravano sempre (lo si fa ancora adesso, ma lo si fa senza pensarci nemmeno). La pigna era quindi simbolo delle divinità della terra, dei monti, degli alberi che permettevano la vita. Non per niente si trovano le pigne nei vecchi letti in ferro battuto, o in alcuni soprammobili in ceramica, soprattutto nel sud Italia. Servivano per augurare un matrimonio con figli sani e far sì che la camera da letto divenisse un luogo sacro e fertile.
Come simbolo di fertilità e rinascita è stato anche preso in prestito dalla filosofia, per la nascita stessa della ragione e la fertilità della mente e delle idee. La pigna, associata quindi anche alla resina, all’ambra (che altro non è se non resina solidificata e che era sacra), alla durezza stessa del legno di pino, diventa quindi simbolo di resistenza, di sopravvivenza, di rinnovamento, di rinascita. La troviamo in cima al bastone di Dioniso, il tirso, intarsiato di Edera e Vite a rappresentare la fertilità e l’abbondanza. Interessante è anche l’analogia con il capretto che troviamo tra le braccia dell’attendente di Shamash, dato che il capretto è l’animale in cui Dioniso era stato trasformato da Zeus per sfuggire all’ira di Hera e nei baccanali veniva sacrificato e divorato a mani nude dalle menadi.
Ma la pigna si trova anche sul bastone del sommo pontifex, e lo troviamo anche sui braccioli delle sedie nelle chiese, in netta connessione con Dioniso e il suo tirso, ma anche a tutti i re di Francia.
Così come l’uovo è anche simbolo dell’anima, è facile trovare la pigna nei vecchi cimiteri, o sui cancelli di ingresso delle ville patrizie. E a questo proposito potrebbe rappresentare il nous, il terzo occhio, e in cima al bastone stesso essere così la spina dorsale umana sulla cui cima sorge la ghiandola pineale, la quale si credeva fosse la sede stessa dell’anima.
La tradizione agreste vuole che sia di buon auspicio regalare delle pigne legate assieme da appendere sopra la porta di casa (anche i miei genitori ce l’hanno ancora.. e manco sanno come mai) affinché possano portare del bene alla famiglia che la abita.
Il simbolo della pigna lo si trova anche nelle pratiche e negli scritti alchemici, ossia proprio in cima al caduceo. Secondo l’alchimia occidentale rappresentava i vari stadi di iniziazione. Quando questa era completa la pigna era rappresentata aperta e con delle ali spalancate, che raffiguravano quindi la ragione dell’intelletto che prendeva il volo. E qui troviamo ancora la stretta connessione con l’anima e con il tirso stesso di Dioniso, inerenti ai misteri dionisiaci e ai riti iniziatici. Tra l’altro i culti dionisiaci erano prettamente officiati da donne, chiamate appunto “Baccanti” o “Menadi” le quali, ebbre di vino, venivano presa da una frenesia di eccitazione tale da indurle a smembrare un capretto (sacro a Dioniso) a mani nude per mangiarne le carni crude durante i baccanali. Le feste, di tipo orgiastico prevedevano iniziazioni di tipo sessuale e non è da escludere che la funzione del Tirso fosse propriamente quella di sostituzione all’organo maschile per le baccanti che, essendo donne, ne erano sprovviste.
La questione della pigna diventa peculiare quando la troviamo a Roma, nel IX rione, dedicato appunto a lei. In antichità una grossa pigna sorgeva da qualche parte nel rione, che nel 1200 si chiamava appunto della Pigna e di San Marco. In seguito venne spostata in Vaticano e adesso si trova nel “Cortile della Pigna”. Ora, nella piazza si trova una semplice fontana a forma di pigna a ricordare l’antico nome del rione, ma non è da escludere che sia un richiamo allo stesso caduceo o al tirso di Dioniso, il cui culto è sopravvissuto tra le mura della città per buona parte del 400 d.c, ed è stato tollerato quanto meno fino alla morte di Teodorico il Grande nel e del suo modo liberale di amministrare le leggi religiose nel 526; il tutto in netto contrasto con la Chiesa Cattolica.
Fonte: http://www.thereef.it/craft/streghe/simboli/pigna.htm
Si veda anche: “il Simbolismo della Ghiandola Pineale”
(http://www.circolonada.org/approfondimenti-dal-circolo-nada/archivio-approfondimenti/92-ghiandolapineale-simbolismo)

Fontana della Pigna (“La Vasca Rapita”)

“La vasca rapita”, Un mistero del dopoguerra

Una fontana vanto di Santarcangelo in realtà fu realizzata con reperti presi a Rimini. Già dal XVIII secolo accanto alla Fontana della Pigna era stato collocato un grande vascone in pietra. Le necessità quotidiane per gli usi più diversificati dell’acqua avevano visto a dire il vero nella piazza già altre vasche e abbeveratoi nel corso dei secoli. Ne esisteva una detta il fontanone, dal capace bacino rotondo all’angolo del cosiddetto “cantone degli Ebrei” (oggi sarebbe al centro della via Poletti) decorato da un bel puttino bronzeo: tale fontanone serviva per abbeverare le bestie e i cavalli e fu poi demolito nel 1824. Invece, il vascone dei cavalli accanto alla fontana della Pigna si può ancora ammirare, con tanto di canaletta di scolo, nella bella foto di Dante Montanari (1881-1942 ca) realizzata negli anni ’10 del ‘900.

Più di uno studioso ha però ironizzato sulla sua nuova ubicazione. Infatti, il vascone fa bella mostra da svariati decenni a Santarcangelo in via della Costa, all’inizio della scalinata, e figura pittorescamente come una nobile fontana affiancata da due colonne, con ogni probabilità provenienti dal distrutto chiostro francescano del Tempio Malatestiano. Parafrasando il letterario caso de La secchia rapita, in più di una occasione si è ventilata l’ipotesi di una contesa anche scherzosa tra i comuni protagonisti della vicenda che hanno visto il trasferimento (o “rapimento”?) del vascone da Rimini al paese dell’entroterra.

Tutto ebbe inizio negli anni dell’immediato dopoguerra. Pare proprio che i santarcangiolesi colsero con sollecitudine l’occasione di dotarsi di ‘pezzi’ archeologici che nel trambusto del dopoguerra e negli anni della dolorosa ricostruzione, nel più generale collassamento delle strutture preposte, subirono traslochi e diverse destinazioni d’uso.

Negli archivi della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Santarcangelo una traccia documentaria rivela che nel 1955 l’Associazione Amici di Santarcangelo si attivò per dare avvio ai lavori con i “Capitelli e piedistalli dell’abbattuto chiosco di S.Francesco e bacile in albio (romano) donato dal Comune di Rimini per costruire la fontana alla scalinata”. La firma di Carlo Tosi allora presidente della Società conferma l’operazione e il fermento attorno alla nuova costruzione. Ma chi, a Rimini, autorizzò una così generosa donazione? Il mistero permane, si ipotizza tuttavia che ci abbiam messo lo zampino lo studioso Luigi Renato Pedretti (1885-1973).

Annamaria Bernucci

L’anfiteatro Romano

È il terzo fra i grandi monumenti romani di cui Rimini si può vantare. Eretto probabilmente nel II sec. d.C., oggi non rimangono che poche vestigia di quello che fu uno dei maggiori anfiteatri dell’Emilia romana.

Aveva forma ellittica con un’arena che misurava m. 76,40 x 47,40 e si componeva di 60 fornici (si calcola che potesse contenere da dieci a dodicimila persone senza contare gli spettatori che prendevano posto sulle balconate lignee accessorie).

L’anfiteatro romano era luogo di spettacolo: qui si svolgevano giochi gladiatori, combattimenti fra uomini, uomini e animali, particolarmente graditi al pubblico romano.

Il pubblico era coinvolto nella fase finale del verdetto sulla sorte del gladiatore sconfitto: in caso di grazia si urlava “missum” (libero), la condanna era sancita dal famoso pollice rivolto verso il basso!

Nel III secolo fu incluso nel perimetro delle nuove mura della città; saccheggiato e smantellato durante le invasioni barbariche, i danni più gravi sono stati causati dall’ultimo conflitto mondiale.

Oggi sono riconoscibili soltanto alcune parti del grandioso edificio (i muri dell’arena, uno degli ingressi principali e qualche accesso alle balconate) rimane comunque l’unico teatro superstite in Emilia Romagna.

Come arrivare : Zona di via Roma. Lo si può raggiungere con gli autobus urbani che si fermano dall’Arco d’Augusto. Da qui si percorre via Bastioni Orientali, dove si offrono allo sguardo le mura medievali-malatestiane della cinta urbana, sino all’incrocio con via Roma. Qui si snoda una pista ciclabile tra il verde che fiancheggia l’anfiteatro.

Fonte: http://www.riminiturismo.it/

Porta Montanara

La costruzione della porta Montanara, detta anche di Sant’Andrea, risale al I secolo a.C. e si inserisce in un organico programma di riassetto del sistema difensivo cittadino, attribuito a Silla. La porta rientrerebbe nell’ambito delle ricostruzioni che, nei primi decenni del secolo, seguirono alle rappresaglie nei confronti della città, già sostenitrice di Mario, suo avversario nella guerra civile.

L’arco a tutto sesto, in blocchi di arenaria, costituiva una delle due aperture della porta che consentiva l’accesso alla città per chi proveniva dai colli lungo la via aretina, percorrendo la valle del Marecchia. Il doppio fornice agevolava la viabilità, incanalando in passaggi paralleli, il percorso in uscita da Ariminum, attraverso il cardo massimo, e quello in entrata.

Indagini archeologiche hanno appurato l’esistenza di un’ampia corte di guardia con una controporta interna, a conferma della complessità del sistema difensivo.

Già nei primi secoli d.C., l’arco volto a Nord venne tamponato: la porta, così ridimensionata ad un solo fornice, continuò a segnare l’ingresso alla città fino alla seconda guerra mondiale.

Al termine del conflitto, nella convulsa fase ricostruttiva, il monumento fu distrutto nella parte rimasta in vista per tanti secoli, mentre fu recuperata la parte occultata nelle murature delle case adiacenti.

L’arco “riscoperto” venne rimontato dopo varie vicessitudini lontano dal luogo originario, a fianco del Tempio Malatestiano, prima di essere ricomposto nella zona originaria.

 Fonte: http://www.comune.rimini.it/servizi/citta/monumenti/pagina14.html

Il Giardino degli Aromi

Camminando lungo via Tempio Malatestiano da via IV Novembre (Duomo), si costeggia un vecchio muro di cinta appartenente a un antico palazzo riminese, Palazzo Lettimi (vedi sotto). Seguendo  il cartello con la scritta Il Giardino degli Aromi, e ci si ritrova in un delizioso angolo nascosto: la corte del palazzo.

Durante l’estate il giardino si riempie di fiori multicolori con inebrianti profumi, ed è possibile sedersi sulle panchine sparse in mezzo al verde. E’ il posto adatto per il relax, per leggere un libro, per un incontro romantico tra innamorati, o solo per gustarsi un gelato.

Palazzo Lettimi

Il Palazzo venne edificato nei primi anni del Cinquecento per volere del nobile Carlo Maschi. L’edificio fu distrutto dai bombardamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale e attualmente ne rimangono solo alcune rovine e il portale. Il Salone del piano nobile era affrescato con le immagini dellevicende di Scipione l’Africano durante la seconda guerra punica. I frammenti superstiti di queste decorazioni sono oggi conservati nel Museo della città.
Fonte: http://www.rimini.com/

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